esperimenti di scrittura creativa

lunedì 30 marzo 2009

ICARO E BABELE

Il vecchio e il giovane camminavano adagio lungo la vecchia pista. Salivano a stento, senza fretta, fermandosi spesso ad ammirare il paesaggio.
Era mattina, una luminosa mattina di settembre, piena di promesse e di presagi; promesse di frutti maturi, di raccolti, di feste, presagi di fredde tramontane e neve e gelo… Spirava una brezza sottile che cavava da rami e dai tronchi e dalle rocce una musica incantata, una sinfonia dolce e solenne che si perdeva lontano, mentre i folletti dell’aria e gli gnomi della terra esponevano a fiera i loro tesori, inestimabili, imprendibili: perle di rugiada trasparente, argentei fili di ragno, aurei raggi filtranti.
Il sole era già alto quando giunsero ad una svolta del sentiero da cui lo sguardo poteva spaziare lontano. Sotto di loro il vasto pianoro ancora verdeggiante occhieggiava tra la foschia sottile, andando a morire nel lago, laggiù. Veniva di lontano un biancheggiare misterioso e i bagliori dei ghiacciai foravano la volta serena salendo su, verso spazi infiniti.
- Nonno, c’è una cosa che ancora non conosco. Qual è il nome della pianura, laggiù?
- Te lo dirò, ma ne sarai sorpreso perché questo piano tra i monti porta esso pure il nome di una montagna.
- Non capisco. Come può essere?
- Ascolta. E’ una storia molto vecchia, che mio nonno mi raccontò un giorno come io la racconto ora a te.
Parlo di tempi assai remoti, quando ancora vivevano sulla terra esseri di stirpe divina.
Laggiù, dove vedi quei massi, si alzava una piccola montagna rocciosa, sola, staccata da tutti gli altri monti; ai suoi piedi c’era un piccolo lago e sopra di essa un villaggio di quegli esseri che popolavano tutto il mondo conosciuto. Furono loro ad aprire nei fianchi di quel monte larghe ferite per estrarne un materiale che dovevano ritenere assai prezioso.
Tutto ciò durò molti e molti anni e alla fine non rimase che una grande colonna rocciosa sopra la quale ancora si elevava il villaggio, con i due templi dedicati agli Dei loro padri. L’unico mezzo per uscire dal villaggio era una spirale di stretti gradini tutt’intorno al monolite, ma con il passare del tempo si andavano via via consumando, senza che vi fosse possibilità alcuna di ripararli. Quegli strani esseri, comunque non se ne davano pensiero alcuno e continuavano ad andare su e giù con grandissima agilità.
Erano rimasti gli ultimi rappresentanti della loro razza, tutti gli altri essendo scomparsi in seguito a lotte ciclopiche e fratricide e a grandi catastrofi senza nome.
Un giorno la scala a chiocciola scomparve completamente, ma quelli non se ne preoccuparono più di tanto e continuarono il loro andirivieni senza sosta, su e giù, su e giù… Avevano imparato a volare! Avevano imparato così bene che pareva non facessero altro dall’inizio del mondo. Ma questa fu a loro condanna, perché un giorno il loro orgoglio non ebbe più limiti e vollero raggiungere il cielo. Di fronte a tanta superbia il Signore di tutte le cose s’infuriò terribilmente e scagliò la sua folgore sull’empio villaggio; la terra tremò, il monte si frantumò in mille pezzi che volarono in alto per poi ricadere e riempire il laghetto sottostante e il genio del male, riunite le anime di quegli empii in un grande fuso d’argento, le portò con sé, tra fumo e bagliori di fiamma, negli spazi infiniti, residenza degli spiriti trapassati.
- Nonno, dimmi ancora una cosa. Quegli esseri di cui parli sono gli stessi con cui un tempo vivevano i nostri antenati?

Il sole era alto, ormai; la nebbia si dissolveva e le perle di rugiada rimpicciolivano a vista d’occhio, andando a rifugiarsi nell’impalpabile elemento. Il bagliore dei ghiacciai si faceva sempre più intenso e pareva di udire tutt’intorno il fluire lento e implacabile del tempo.

- Si, figlio mio, loro: gli uomini, che si dicevano figli del Signore di tutte le cose.

Ciò detto presero a scendere, il cucciolo sostenendo il vegliardo che trotterellava sulle zampe malferme, sino a raggiungere il grande e rumoroso accampamento, al limitare della pianura di Mont’Orfano.

scritto: Settembre 1978

1 commento:

Alfa ha detto...

Ecco, uno viene a scoprire per caso le cose che ha sotto gli occhi...

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Informazioni personali

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Casale Corte Cerro, VB, Italy
Massimo M. Bonini, barbä Bonìn o Max per gli amici, Bonny per i suoi studenti. Classe 1955. Vive a Casale Corte Cerro (VB), tra il lago d’Orta e il lago Maggiore, con una moglie, due figlie e svariate migliaia di libri. Insegnante di materie tecniche presso le scuole superiori di Omegna, libero professionista, giornalista e imbrattacarte volontario. Per hobby studioso del territorio, della sua storia e delle sue tradizioni, di cui ama collezionarne e raccontarne le storie. Da sempre impegnato nel volontariato, soprattutto in campo culturale, ha collaborato con vari enti e associazioni; a Casale ha fondato la biblioteca della Corte di Cerro, il Centro Studi La Corcera e il museo etnografico della Latteria Consorziale Turnaria. È stato amministratore del comune di Casale, della comunità montana Cusio Mottarone, della provincia del Verbano Cusio Ossola, di Ecomuseo Cusius e di diverse associazioni, consorzi e società partecipate. Di sé stesso ama dire, citando Francesco Guccini: “Io, come sempre, faccio quel che posso; domani poi ci penserò, se mai...” Il suo sito internet è www.studiombm.it